Torino, sera del 4 marzo 1907. Al Teatro Carignano tutto era pronto per una conferenza che sarebbe stata tenuta da un oratore di gran nome, Pio Foà, medico, docente universitario di Anatomia patologica e già noto per una serie di impegni pubblici. Dotato di un’abilità oratoria riconosciuta, era un fine parlatore, dalla voce possente, che sapeva esporre i suoi argomenti con estrema chiarezza e con un linguaggio accessibile a tutti. La conferenza era stata fissata per le 21, ma già alle 19 avevano cominciato a presentarsi alcuni di coloro che non avevano potuto prenotare. Attorno alle 19.30 il flusso era diventato continuo; poi si era fatto sempre più consistente e arrivati a mezz’ora prima dell’orario di inizio davanti al Carignano stazionava una folla numerosa in attesa di acquistare un biglietto. Le speranze dei più sarebbero state però vanificate, perché tra prenotazioni e biglietti staccati il teatro registrava già il tutto esaurito. Oltre 400 persone, deluse, avrebbero dovuto tornarsene a casa: gli 850 posti del teatro erano tutti occupati.

Interno del teatro Carignano di Torino

A indire la conferenza era stato, qualche giorno prima, il più importante giornale cittadino, La Stampa, che aveva annunciato con risalto l’iniziativa i cui proventi sarebbero stati devoluti in beneficenza. La sera del 2 marzo tre studenti universitari erano andati dal professor Foà a intimargli di rinunciare all’impegno, pena l’organizzazione di una chiassosa manifestazione per impedirgli di parlare. Ma il gruppetto di universitari che era ora riuscito a trovare i biglietti era entrato in tutta tranquillità e non mostrava di voler creare il minimo disturbo.

Eusapia Palladino

Uno dei motivi di tanto interesse era senza dubbio l’argomento scelto per la conferenza: i fenomeni spiritici prodotti da Eusapia Palladino. Foà era reduce dall’aver partecipato, pochi giorni prima, assieme a un piccolo numero di medici dell’università (tra i quali suo figlio Carlo), a una seduta con la celebre medium che in quel periodo operava con assiduità a Torino. A febbraio la donna era stata impegnata in quattro sedute con importanti esponenti del mondo universitario torinese, tra i quali Enrico Imoda e Cesare Lombroso, nei locali del manicomio diretto da quest’ultimo. Poi si era prestata a casa dei conti Verdun ad altre due sedute studiate dagli assistenti del fisiologo Angelo Mosso, ed era stato a una di queste che era intervenuto Pio Foà.

Pio Foà

Verso l’ora stabilita il teatro era «meravigliosamente affollato» da «dame della nostra aristocrazia e dell’alta borghesia, signore del medio ceto, professionisti, industriali, operai e in gran numero gli studenti. In due palchi distinti assistevano pure il duca di Genova e il duca degli Abruzzi» – la citazione proviene dall’articolo comparso il giorno successivo sul quotidiano torinese. Il duca degli Abruzzi, figlio di un Savoia re di Spagna che aveva abdicato la settimana dopo la sua nascita, era una singolare figura di intraprendente esploratore, alpinista, ammiraglio, uso a intervenire facendosi notare dai giornalisti ovunque si segnalasse qualcosa fuori dell’ordinario: a Torino, ad esempio, qualche anno prima si era fatto intervistare dopo essere andato a visionare un famoso caso di “ambiente infestato dagli spiriti”. Più anziano di lui, il duca di Genova apparteneva a un altro ramo della dinastia dei Savoia e svolgeva con impegno e discrezione la sola funzione di ammiraglio.

Il duca degli Abruzzi
Il duca di Genova

È presumibile che il richiamo maggiore della conferenza fosse rappresentato dalla medium stessa di cui si sarebbe parlato, che aveva annunciato la sua presenza in un palco offertole dalla famiglia dei conti Verdun. Di solito schiva e poco amante della mondanità (alla quale doveva sentirsi inadeguata), Eusapia prediligeva il rapporto diretto con singole personalità, ma rifuggiva dalle folle.

Alle 21 in punto, come all’inizio dei concerti sinfonici, in sala tutti smisero di parlare o mormorare, le luci posteriori si abbassarono e sulla scena fece il suo ingresso il professor Foà, salutato da un «lungo e scrosciante battimano». Quindi, tornato nuovamente il silenzio, l’oratore si accinse a iniziare la sua esposizione, che non avrebbe interrotto se non quando giunse alla fine, un’ora e mezza più tardi.

I fenomeni denominati comunemente spiritici – disse in sostanza Pio Foà – hanno avuto la stessa evoluzione di tutti quelli che sembrano uscire dall’ambito di ciò che è conosciuto. Da principio si sono imposti come totalmente estranei al contesto culturale, guadagnandosi seguaci e oppositori viscerali, ugualmente acritici e incapaci di apportare contributi di un qualche significato. Successivamente sono entrati in un periodo “scientifico”, in cui sono stati assoggettati a sperimentazione e a controllo al pari di ogni altro evento della realtà. Contesto in cui, aggiunse Foà pensando e riferendosi a se stesso, importante è sempre la figura dello “sperimentatore” che «non deve essere disposto a credere e neppure essere ostinato nel preconcetto della negazione, né deve abbandonarsi a precipitosi commenti né ad atti che paralizzino o che alterino l’azione del medium».

Venendo poi alle manifestazioni di Eusapia, l’oratore ripercorse velocemente le osservazioni effettuate da studiosi di tutta Europa e ricordò le recenti esperienze di Torino. Quindi si mise a riferire ciò che aveva visto e verificato lui stesso, anche con strumenti di “registrazione” automatica, evidenziando come la medianità della Palladino si esaurisse totalmente nei fenomeni fisici. Fenomeni dei quali era stata ormai comprovata la genuinità, sebbene ne rimanesse sconosciuta la dinamica precisa. Svolta qualche altra considerazione Foà si spinse infine a dichiarare la sua opinione: «Tutto ciò che risulta dai fenomeni eusapiani è prodotto dell’attività diretta o indiretta della medium. L’impulso o l’energia che essa sviluppa sono derivati interamente da lei stessa, e vi concorrono per suggestione o con comunicazione di proprie energie le persone che assistono alla produzione del fenomeno. Profondamente misteriosa è la natura o la proprietà della suddetta energia [che] è però strettamente legata al soggetto operante e nulla avrebbe a che fare coll’esistenza oggettiva di entità, ovvero spiriti posti al di fuori del soggetto stesso.» Per saperne di più, Foà rinviava a ulteriori studi e ricerche, che avrebbero dovuto farsi sempre nel nome e nelle regole della scienza, il cui verdetto andava atteso con fiducia e serenità. Le stesse fiducia e serenità che invocò, poco dopo, nelle parole conclusive della conferenza: «Separiamoci, signori, con la pace nella mente e nell’anima, fiduciosi nel progresso della scienza, alla quale spetta ai nostri giorni la massima parte nella direzione materiale e spirituale dell’umanità.»

Dimostrato con un lungo applauso caloroso tutto il suo apprezzamento per quanto aveva ascoltato, rialzatosi in mezzo a un brusio di commenti e di saluti, il pubblico ripassò le porte del Carignano e sciamò dileguandosi per le vie di una Torino già in gran parte addormentata. Il personale del teatro controllò che nessuno fosse rimasto in platea o nei palchi, dette una prima sistemata ai locali, spense tutte le luci e riaffidò al silenzio quello che era stato, fino a pochi minuti prima, il posto più vivo di tutta la città. L’incasso della serata era già stato passato a un incaricato de La Stampa che aveva provveduto a metterlo al sicuro. Si trattava di un totale di 2717,40 lire, una cifretta tutt’altro che disprezzabile con cui si sarebbe potuto fare qualcosa di utile in beneficenza, considerato che il suo potere d’acquisto era più o meno equivalente a quello dei nostri 10-11mila euro.

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