Se andate a guardare nei libri sul pensiero e la coscienza scritti soprattutto da neurologi, filosofi, psicologi e medici – ne sono usciti moltissimi tra gli anni Novanta del Novecento e i primi cinque o sei del Duemila – quasi in nessuno troverete il minimo accenno alle “esperienze anomale” spontanee o sperimentali che costituiscono l’oggetto di studio della parapsicologia. Men che mai, poi, troverete lì dentro una citazione o un riferimento bibliografico alle teorie parapsicologiche. E adesso mettetevi a rovistare nella letteratura parapsicologica degli ultimi quindici anni o giù di lì, cercando accenni, riferimenti e discussioni sui modelli della coscienza e sulle funzioni del pensiero: ne troverete una catasta. Anzi, probabilmente talmente tanti che a un certo momento non saprete più da che parte orientarvi.
Sembra opportuno, di fronte a tutto ciò, interrogarsi sui motivi che hanno determinato situazioni tanto diverse e che continuano a mantenerle distanti. Le risposte possibili credo siano molte, ma per non togliere a chi vuol provarci il piacere di formularne di proprie, ne delineo qui due che identificano, a mio avviso, le principali ragioni della divaricazione tra i due settori.
Un elemento importante è il differente punto di partenza in cui si pongono gli autori dei due campi, quello scientifico e quello parapsicologico. Gli esponenti del primo, in generale, fanno discendere i propri discorsi dai dati che provengono dalla ricerca scientifica, che è un’indagine positiva, materialista, che tien conto dei risultati di osservazioni, stati clinici, test di laboratorio ed evidenze sperimentali. È da qui che conseguono i modelli interpretativi dell’attività psichica, compresa la consapevolezza o coscienza, fondati sul funzionamento dei neuroni e sulle reazioni chimico-elettriche che si svolgono nel sistema nervoso centrale. Per contro, i rappresentanti della parapsicologia si pongono fin dall’inizio in una posizione pregiudizialmente alternativa a quella scientifica, sostenendo una “lettura” dualista della realtà: e tutte le argomentazioni proposte tendono poi a confermare, tramite le esperienze psichiche anomale, un modello per il quale i due mondi, della materia e della mente, sono irriducibilmente autonomi sebbene in contatto e talora in sovrapposizione. È evidente perché, dato il diverso percorso intellettuale, il punto di incontro non sia possibile e perché ciascuno dei sostenitori delle due posizioni si senta autorizzato a ritenere irrilevanti le ragioni della controparte.
Il secondo elemento che crea la diversità è la mancata percezione, da parte dei parapsicologi, della marginalità delle esperienze anomale di cui si occupano. Definendo ad esempio in 50 anni la vita mentale integra di una persona, si ottengono circa un miliardo e mezzo di secondi di psiche “attiva”, di pensiero vagante da una funzione all’altra, di coscienza che può attivarsi e lasciarsi percepire. Ebbene, a fronte di ciò ci sono le esperienze anomale che, quando si presentano, durano pochi secondi o minuti al massimo. Dunque, non è azzardato pensare di spiegare un miliardo e mezzo di secondi di attività sulla base di un’esperienza che ne dura solo 10, 30 o 50? Insomma, credere che non valga nulla ciò che la scienza ci dice di quel miliardo e mezzo, mentre tutto sta in quella manciata di secondi, è una pretesa culturalmente insostenibile.
Si può allora far qualcosa per sanare questa squilibrata situazione? Forse agli scienziati ortodossi si potrebbe chiedere di formulare modelli interpretativi e ipotesi in grado di ricomprendere ed eventualmente assorbire anche i dati dei quali spesso non tengono conto (che sono molti e non tutti parapsicologici: dal sonno e i sogni tra gli animali non umani alle “vocazioni” o trasformazioni improvvise di personalità). Ai parapsicologi e a tutti gli altri autori che si pongono in quella prospettiva si deve chiedere che prendano atto della solidità delle teorie scientifiche, fondando ogni altra proposta su quei presupposti e senza porsi in antagonismo.
Comunque, appena dopo averlo scritto, mi rendo conto che un simile finale è più facile da enunciare che da praticare…
Un libro che tenta una unificazione è quello recente di Enrico Facco, esperto in NDE e altri stati non ordinari di coscienza, dal titolo “L’enigma della Coscienza”, edizioni Mondadori
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