Cesare VesmeSi sente ancora, ogni tanto, qualcuno raccontare di aver vinto alla roulette o al lotto perché aveva puntato su numeri o combinazioni sognate poco prima. E qualcun altro affermare di aver vinto proprio quell’unica volta che, contrariamente alle proprie abitudini, aveva partecipato a un gioco d’azzardo in quanto si era “sentito spinto” a farlo. Ma in generale storie del genere sembrano oggi piuttosto rare, anche perché la varietà di giochi e di premi grandi e piccoli che viene distribuita a ogni angolo di strada rende meno eccezionali la possibilità di vincere e la soddisfazione di riuscirci. Un tempo non era così ed essere tanto fortunati da intascare una cifra considerevole era un evento raro, gioioso e sempre un po’ misterioso.

Verso la fine degli anni Venti del Novecento Cesare Baudi di Vesme, un giornalista di origine italiana trapiantato in Francia, dell’argomento delle vincite straordinarie che potevano anche indicare “altro” fece il tema centrale di un libretto, che uscito dapprima in francese venne poi pubblicato anche in italiano: senza suscitare, per la verità, troppe curiosità o interessi. La tesi di fondo del lavoro era che, almeno in alcuni casi, quando si partecipa a giochi d’azzardo – quei giochi cioè nei quali non conta l’abilità ma solo il “caso” – possono prodursi degli insoliti fenomeni di “previsione” corretta di ciò che accadrà, capaci di indirizzare i comportamenti di chi partecipa e far loro “guadagnare” anche cifre significative. Nello svolgere la sua argomentazione, l’autore riportava e commentava una sessantina di episodi, accaduti in tempi per lui recenti, relativi a varie classi di giochi tra i più popolari della sua epoca. Ora, dopo una novantina d’anni di oblio, con l’immutato titolo I prodigi nei giochi d’azzardo il testo è stato ripubblicato dalle edizioni Il Settenario (a giorni lo si potrà ordinare online ad esempio qui), corredato da una mia prefazione. Riprendo dunque e ripresento qui la prima parte di quel mio scritto, nel quale fornisco poi alcuni tratti biografici di Baudi di Vesme, una figura ormai dimenticata, malgrado per oltre trent’anni sia stato un protagonista significativo della ricerca psichica europea.

copertinaVerso la metà di novembre del 1908 l’opinione pubblica italiana fu messa a rumore da una notizia piuttosto clamorosa: in una ricevitoria del lotto di Torino una donna aveva vinto una grossa somma, oltre 360mila lire, “centrando” una quaterna secca dopo aver puntato quattro numeri sulla sola ruota di Torino. Per la precisione, la vincita ammontava a 361.850 lire, equivalenti a un valore nominale odierno di circa 1,5 milioni di euro e a un valore effettivo, quale capacità di acquisto, assai superiore.

Entro due o tre giorni, per la solita dinamica delle “voci che corrono”, il nome della donna e le circostanze della vincita erano sulla bocca di tutti i torinesi, frammiste a varie contraddizioni e a non poche esagerazioni. Come venne infine accertato da un giornalista che senza troppa fatica raggiunse la diretta interessata in casa del noto avvocato Cocito, si trattava di Rosa Tirone, 37 anni, celibe, originaria di Montechiaro d’Asti, che da qualche tempo era occupata quale cuoca e domestica tuttofare nella famiglia di quel professionista. Ai primi di novembre – raccontò la donna – una notte le era capitato di sognare un suo vecchio fidanzato, defunto ormai da anni, che le aveva rivelato 5 numeri raccomandandosi di giocarli al lotto. Lei ne aveva giocati 4 impegnando 7 lire e, tra l’altro, sollecitando la moglie dell’avvocato a unirsi a lei per la giocata; poi il sabato pomeriggio, andando a controllare nella ricevitoria presso piazza Statuto, aveva avuto conferma dell’uscita di tutti e quattro i “suoi” numeri. Era quindi tornata a casa in preda a una comprensibile emozione, sebbene – aggiunse – per tutta la settimana precedente l’estrazione avesse avvertito il forte “presentimento” che quella volta avrebbe vinto.

Finita sui giornali di tutta Italia, la vicenda di quella straordinaria vincita era ormai prossima a concludersi con la consegna all’umile cuoca della sua ricchezza, quando le cose presero una direzione completamente diversa da quella attesa, che merita ricordare sommariamente per un motivo che apparirà chiaro in seguito.

Mentre stava concedendo un’intervista al giornalista de La Stampa, in casa dell’avvocato Cocito, alla porta dell’appartamento si presentarono due carabinieri agli ordini di un maresciallo, venuti allo scopo di “rintracciare” Rosa Tirone. Nel vederseli davanti la donna immaginò si trattasse di un’altra conseguenza della sua vincita – chissà, magari erano andati a darle la comunicazione ufficiale di come ritirare i soldi – e li accolse porgendo loro una sua fotografia, che in mancanza di meglio assolveva al ruolo di documento di identità. Nel prenderla, il maresciallo le disse che avevano bisogno di ulteriori informazioni e che il questore in persona desiderava parlarle, per cui pochi minuti più tardi, in carrozza, la portarono in tutta tranquillità con loro in questura, dove… non appena giunti la arrestarono e la condussero in carcere. Motivo del provvedimento: il giorno prima, qualcuno si era ricordato che una certa Rosa Tirone di recente era stata condannata in contumacia a oltre un anno di prigione per truffa operata a danno di una merciaia. Verificato che la condannata era la stessa persona di cui ora parlavano i giornali, la forza pubblica era andata a catturare la latitante.

Sulle prime la donna si disperò: non appena le era stato possibile, spiegò, era tornata dalla merciaia e le aveva saldato il conto non pagato, le 10 lire per le quali aveva subito una denuncia e un processo a sua insaputa. Successivamente però si era arresa alla sorte: le era stato fatto notare che se la vittima del crimine era stata risarcita, non altrettanto era accaduto nei confronti dello Stato che si era trovato costretto a celebrare un processo contro di lei. Nei giorni successivi, la posizione di Rosa Tirone si aggravò, poiché saltarono fuori altre due condanne per piccoli furti comminatele in precedenza, e un numero elevato di denunce per furtarelli, inganni e trucchi orditi ai danni di molte persone e commercianti di Torino, sempre al fine di appropriarsi di modeste somme di denaro.

Se per le denunce in corso c’era la possibilità di evitare conseguenze gravi, dichiarando l’intenzione di risarcire tutti con i soldi della famosa vincita al lotto, per le sentenze già emesse non c’era molto altro da fare: non restava che mettersi l’animo in pace e adattarsi al meglio possibile al carcere. Il ricalcolo delle pene portava ora a oltre quattro anni il periodo di detenzione, che Rosa Tirone si accinse a trascorrere docilmente. A nulla valsero i suoi gesti di “buona volontà” e di “bontà d’animo”, come destinare a suo padre indigente somme elevate della vincita, versare 1500 lire per le vittime del terremoto del dicembre 1908 a Messina e Reggio Calabria, fare donazioni a enti religiosi. Le porte del carcere non si riaprirono per lei prima di altri dodici mesi, e ciò solo grazie a una decisione del tribunale, nel luglio del 1909, con cui il periodo di pena veniva drasticamente ridotto a un anno.

Quelle vicissitudini e le “chiacchiere” occasionate dall’arresto avevano nel frattempo portato alla luce altri dettagli su Rosa Tirone, come il fatto che probabilmente la storia del sogno era stata inventata, in quanto da diversi anni la donna giocava, tutte le settimane, gli stessi numeri fiduciosa in una vincita (era stato per potersi permettere quel “vizio” che aveva rubacchiato piccole quantità di denaro e non pagato i commercianti), o che avesse la sconcertante tendenza a mentire in continuazione, per potersi assentare dalle abitazioni in cui lavorava forse per darsi a comportamenti “disonorevoli” per una donna.

Infine, tornata libera ed entrata finalmente in possesso della vincita, Rosa Tirone si concesse una vita un po’ più agiata che in precedenza, dovendo però, da un lato, evitare le insidie di molti pretendenti e finanziatori ingannevoli che miravano a mettere le mani sui suoi soldi, e dall’altro, soddisfare una lunga lista di creditori, primi dei quali gli avvocati che l’avevano assistita in quei dodici mesi di traversie giudiziarie. Prima dello scadere di dieci anni la donna cadde in una miseria profonda, che a un certo punto la costrinse a vendere anche gli ultimi beni della sua famiglia, in paese, e a riprendere servizio in case altrui.

2 pensieri riguardo “Le vincite straordinarie

  1. In verità, sembra che anche diverse vincite dei tempi moderni siano andate a finire piuttosto male, con la rovina economica – e forse non solo quella – di chi da principio si è sentito baciato alla fortuna. Voglio credere però che la maggior parte dei casi si siano risolti bene, con un utilizzo valido e comunque positivo del ricavato dal gioco. E’ che siamo istintivamente portati a notare più le storie negative che quelle positive: difficilmente troveremo sui giornali articoli su chi ha sistemato sé e i propri figli, ha magari aperto nuove attività lavorative e ha continuato a vivere serenamente. Storie del genere non “tirano” molto…

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