La prima volta alla terrazza panoramica del Pincio, la seconda in una sala dell’ospedale Santo Spirito – entrambi luoghi tra i più noti di Roma. Il Pincio era ed è una modesta altura verde disseminata di viali alberati, aiuole, parchi, ville con giardini e fontane, punti di ritrovo e, soprattutto, 220 busti di altrettante personalità eminenti della storia d’Italia. Famosa è una specifica terrazza, dalla quale si gode la vista della sottostante piazza del Popolo e del massiccio quartiere Prati. Qui, una sera di fine novembre del 1932, si adunò un gruppetto di giornalisti per assistere a un singolare esperimento annunciato dal neurologo friulano Giuseppe Calligaris, sceso appositamente dalle sue terre per dare una dimostrazione delle sue più recenti scoperte.
Dopo riscontri preliminari, all’inizio del secolo, condivisi con il suo “capo” all’Università di Roma Giovanni Mingazzini, Calligaris si era convinto di aver individuato sulla superficie corporea umana migliaia di “placche”, ovvero areole di circa 1 centimetro quadrato, capaci di entrare ciascuna in risonanza con uno specifico atto psichico o fisiologico dell’organismo, con la caratteristica che quelle sulla metà destra del corpo sarebbero abilitate a trasmettere all’esterno quella risonanza, mentre quelle situate sulla metà sinistra sarebbero deputate a captare le emanazioni provenienti da altre persone. L’esperimento che quel giorno il medico intendeva condurre consisteva nella dimostrazione pubblica di una simile “trasmissione”, a suo parere vera e propria telepatia, ottenuta attivando sia un “trasmittente” che un “percipiente” separati da una discreta distanza. L’attivazione consisteva nell’appoggiare leggermente per pochi minuti sulle placche giuste l’estremità di un martelletto di alluminio.
Scelto un “percipiente” tra coloro che si erano offerti di collaborare, Calligaris premette uno dei suoi martelletti su un punto dell’indice della mano sinistra del volontario. Poi, chiedendogli di rimanere a guardare il panorama di Roma, si allontanò di pochi metri alle sue spalle raggiungendo gli altri giornalisti, in mezzo ai quali c’era la persona che – all’insaputa del “percipiente” – avrebbe agito da “trasmittente”: una sua ex-paziente giunta anche lei da Udine. Attivato quindi sull’indice della mano destra della giovane la placca corrispondente alla precedente, il neurologo dette avvio all’esperimento. Ad alta voce chiese al “percipiente” di girarsi pian piano, tenendo la mano sinistra distesa, quasi a passare in rassegna tutti i componenti del gruppetto che ora trovava di fronte a sé. L’uomo avrebbe dovuto fermarsi, avvisando, nel momento in cui avesse avvertito sul suo dito indice la famosa “risonanza”, nella forma di un prurito o di un indolenzimento: questo avrebbe segnalato chi, fra tutti i presenti, stava svolgendo il ruolo di “trasmittente”. L’esperimento ebbe termine in pochi istanti: dicendo di sentire qualcosa sull’indice, l’uomo si arrestò mentre la sua mano era protesa in direzione della paziente di Calligaris. Immediatamente il neurologo se ne uscì in un’esclamazione soddisfatta, dichiarando che la prova aveva avuto successo. Tutti avevano visto che l’attivazione della “trasmittente” era avvenuta all’insaputa del “percipiente”, girato di spalle; dunque se la placca di quest’ultimo aveva “risuonato” in corrispondenza della donna, ciò era stato dovuto alla trasmissione di informazioni tra le due persone.
Non tutti i giornalisti presenti si dichiararono convinti, per cui ci furono domande, lunghe spiegazioni fornite da Calligaris e un paio di ripetizioni della stessa esperienza prima che facesse buio e la riunione venisse sciolta. I dubbi comunque permasero e se ne ritrova traccia negli articoli comparsi nelle settimane seguenti su alcuni quotidiani e riviste, che pur inneggiando alle scoperte del medico friulano esprimevano delle caute riserve: che si sarebbero forse potute risolvere in una successiva occasione.
Un anno dopo, 2 dicembre 1933, Calligaris indisse una nuova riunione con la stampa romana. Questa volta l’incontro avvenne nella sala Flajani del Santo Spirito, antichissimo nosocomio della capitale, a due passi dal Vaticano, e oltre ai giornalisti erano presenti medici e infermiere dell’ospedale, nonché alcuni studenti di medicina. Il neurologo invece all’appuntamento arrivò da solo, senza la sua accondiscendente e semi-apatica segretaria che lo seguiva ovunque: che poi altri non era che la giovane ex-paziente “attivata” l’anno prima.
Per effettuare le dimostrazioni sulla capacità di intercettare il pensiero altrui furono coinvolte varie persone selezionate nel gruppo dei convenuti, iniziando con due infermiere messe sedute una di fronte all’altra. Calligaris passò pazientemente i suoi martelletti lungo le braccia e la testa di quella destinata a fungere da “percipiente” (il cui volto era stato coperto da un velo nero tenuto da una benda stretta sulla fronte) dedicandosi in particolare a una placca trovata su un lato del collo. Poi ripeté il procedimento con l’altra, che aveva il compito banale di pensare a qualcosa o… di non pensare a niente. Secondo il neurologo, la prima delle due sarebbe stata in grado di percepire i pensieri della collega anche in assenza di segni o segnali convenzionali. In effetti, dopo un paio di minuti l’infermiera bendata affermò di vedere «un panno nero spiegato a un metro o due di distanza, che avanza lentamente, si schiarisce, ondeggia come il mare, arrivando a un palmo dal mio viso». Esperimento riuscito, esclamò anche questa volta Calligaris, spiegando che «quello che la signorina chiama “panno” non è altro che un fascio longitudinale di raggi emanati dal corpo della sua dirimpettaia. Sono talmente fitti che sembrano formare un piano verticale pendente tra loro».
Come trasmissione telepatica era alquanto povera, poco specifica, per nulla definita; per di più, l’affermazione che i raggi emanavano dal corpo, non dalla mente, della “trasmittente” lasciò sconcertati i testimoni. Il neurologo pensò utile ripetere la prova, chiedendo però che al posto della prima infermiera sedesse uno studente di medicina. La sostituzione fu presto fatta e pochi minuti più tardi il giovane, anche lui bendato, descrisse le sue percezioni interiori quasi nello stesso modo dell’infermiera. Ancora qualche domanda e altrettante risposte da parte dello scienziato. Finché si arrivò all’esperienza che avrebbe dovuto essere quella dirimente. Richiesta la partecipazione di un giornalista – venne selezionato Ermanno Contini, del Messaggero – il suo compito, dopo la solita attivazione della placca adeguata (segnalata da una sensazione di freddo all’attaccatura del polso), fu fissato nella captazione telepatica dei pensieri di un “trasmittente” posizionato in una stanza adiacente all’aula Flajani. Una simile trasmissione era resa possibile, spiegò Calligaris, dal fatto che di norma il pensiero non è arrestato da muri o da strutture materiali inerti, ma al massimo viene intercettato da terze persone, anch’esse con le opportune placche attivate, che eventualmente si frappongano tra i due poli in contatto tra loro.
Nei minuti successivi il neurologo fu indaffarato nell’impresa di “attivare” le placche di altre due persone (non specificate, nei resoconti), inviate subito dopo nella stanza accanto, una per mettersi seduta rivolta verso il giornalista, l’altra per star ferma o camminare a suo piacere. Dedicandosi quindi di nuovo a Contini, seduto di fronte alla parete divisoria tra le due stanze, Calligaris iniziò a passare e ripassare il martelletto d’alluminio sul palmo della sua mano sinistra. Secondo gli accordi presi, a ogni passaggio il giornalista avrebbe dovuto segnalare con un “sì” la persistente attivazione della placca, e con un “no” la sua disattivazione, ovvero un’assenza della sensazione di freddo al polso. «Al primo “no” il professore dà avviso nella stanza accanto» scrisse il giornalista. «Proprio in quel momento il collega cui era stata eccitata la placca sita sul dorso della mano e che doveva fare da intercettatore si era inserito fra me e il mio dirimpettaio. Egli aveva dunque interrotto il nostro collegamento, intercettando le energie raggianti – o il pensiero, come ama dire il prof. Calligaris – di cui io avevo fino a poco prima accusato ricevuta».
Neppure questa prova riuscì a dissipare tutti i dubbi di quanti assistettero all’esperimento, che ancora una volta si ritrovarono a dover inneggiare alle asserite scoperte di uno scienziato italiano (lo imponeva anche il nazionalismo del regime fascista) senza poter fornire dati concreti e comprensibili a sostegno. Probabile che un punto debole di quei test stesse nel fatto che erano stati organizzati particolarmente male. Invece di verificare ad esempio il passaggio, la trasmissione, di un messaggio tra “trasmittente” e “percipiente”, Calligaris aveva ritenuto sufficiente evidenziare che le fantomatiche placche cutanee della telepatia entravano in risonanza con lo stimolo di un martelletto, o che un presupposto “collegamento” tra due persone si interrompeva all’interporsi di una terza persona; lasciando poi alla libera interpretazione dei presenti il compito di inserire simili riscontri frammentari entro un modello di “trasmissione del pensiero”.
Eppure, l’idea di Calligaris di dare una dimostrazione pubblica delle sue ricerche era senz’altro valida, tenendo presente che proprio in questo modo, in passato, si sono affermate grandi innovazioni della scienza e della medicina (rotazione della Terra, volo delle mongolfiere, vaccini, elettricità, etc.). Ad assicurare il successo, tuttavia, pubblico e buone intenzioni non bastano: occorre anche che i fenomeni che si vogliono mostrare siano davvero dei riscontri scientifici e non abbagli o convinzioni preconcette dei loro autori. Il neurologo friulano avrebbe dovuto verificare più a fondo e indirizzare meglio i propri studi, arrivando a conclusioni certe e ripetibili prima di proporle come conoscenze ormai acquisite. Forse, se si fosse fatto consigliare da qualcuno…
Stento a crederlo, anche in questo caso… Non c’è niente (o quasi) che vada bene… Incredibile!
“… forse se si fosse fatto consigliare da qualcuno…”
Ho una paura folle di chiederle chi è questo “qualcuno” (nome, cognome, indirizzo, ecc.)
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Nessuna paura nel risponderle: non si può fare il nome di Giovanni Mingazzini, forse il maggior neurologo italiano del tempo, con il quale Calligaris aveva iniziato le ricerche su linee e placche cutanee, perché nel 1932 era già morto. Né quello di Enrico Morselli, per lo stesso motivo. Erano ancora vivi però, e quindi in grado di confrontarsi con Calligaris se questi li avesse interpellati, diversi altri neurologi (Colucci, Belmondo etc.) che avevano discusso con lui di quegli studi in vari congressi e, prima ancora, all’Accademia Nazionale dei Lincei, dove la questione era stata portata su iniziativa di Guido Baccelli, grande medico e ministro (realizzatore tra l’altro del Policlinico universitario Umberto I di Roma). Calligaris invece, sembra per problemi caratteriali, tese sempre a sfuggire a confronti e verifiche con i suoi pari-grado, e a ritenere la questione di sua esclusiva proprietà. Un peccato, direi, perché con un simile atteggiamento finì per ostacolare il corretto sviluppo dei suoi studi, che partivano da premesse sicure (come sa chiunque si sia disturbato a “cercare” sulla pelle i punti sensibili seguendo la sua metodologia) ma erano poi decollati verso lidi decisamente fantasiosi.
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