Tutti sanno che agli inizi del 1872 Giovanni Damiani, annunciando su Human Nature agli spiritisti inglesi che c’era a Napoli una medium potente e ripudiandola poche settimane più tardi, usò il nome Sapia Padalino. A settembre di quell’anno, in un opuscolo in cui parlava di spiritismo e delle attività di un circolo spiritico romano, il giornalista Achille Tanfani illustrò in rapida sintesi i fenomeni che si producevano grazie ai poteri della loro medium più eminente: che, anche per lui, si chiamava Sapia Padalino. A novembre, invece, sul settimanale inglese The Spiritualist, una “corrispondenza da Roma” precisava che i fenomeni osservati nel sodalizio romano erano dovuti a una tal Sapia Paddalino.
Le varie dizioni del nome della donna andarono alternandosi indifferentemente, nelle poche discussioni comparse in quegli anni nella stampa di settore, anche italiana, finché all’inizio del decennio 1880 su Civiltà Cattolica padre Giuseppe Giovanni Franco, informatissimo avversario dello spiritismo, fece un riferimento alla giovane medium “romana” indicandola come “Sapia Padalino o Paladino». In alcuni quotidiani della fine di quel decennio, oltre alle precedenti si trova la dizione Sapio (la Sapio), ma nella gran parte delle riviste italiane e francesi cominciò a farsi sempre più frequente il cognome Paladino, con pochi esempi di Palladino, due opzioni che sui periodici spiritisti americani e inglesi si mantennero pressoché appaiati nelle preferenze dei giornalisti. Il fatto è che in lingua inglese (e, per alcuni vocaboli, anche in quella francese) le consonanti doppie vengono pronunciate come fossero singole, per cui è probabile che per la maggior parte degli “scriventi” inglesi e americani la differenza tra le due forme fosse appena appena avvertibile come un’inutile sfumatura.
L’affermazione della dizione corretta del nome Eusapia risale agli anni 1886-89, e in special modo a quando sui giornali italiani (di tanto in tanto citati da quelli esteri) si raccontò della sfida che Ercole Chiaia aveva rivolto a Cesare Lombroso, consistente nell’andare a osservare quella medium senza prevenzioni di sorta e nel dichiarare poi pubblicamente il proprio giudizio sui fenomeni constatati. In quel momento, comunque, si produsse uno strano fenomeno per cui all’esattezza del nome si associò soprattutto la forma sbagliata del cognome, Paladino. Complice senza dubbio l’analfabetismo della medium, incapace di produrre in proprio dei documenti scritti, e la sua scarsa attenzione alla pronuncia corretta: tutti coloro che ebbero a che fare con lei ammisero che parlava male un dialetto napoletano impastato di vocaboli forse pugliesi (sua terra d’origine) o forse semplici corruzioni di termini italiani. Di fatto, la versione dominante del suo nome divenne Eusapia Paladino, anche se, curiosamente, molti continuarono a designarla come Palladino: una situazione che non cambiò, da allora in poi, per vari decenni, tanto da accompagnarla fino alla morte e da sopravviverle poi per tutto il Novecento. Ancora nel 1984 lo studioso Carlos Alvarado era giustificato a pubblicare un articolo interrogandosi sul vero cognome della medium italiana (“Palladino or Paladino? On the Spelling of Eusapia’s Surname”), ma all’inizio del decennio successivo la questione fu definitivamente risolta, chiedendo e gentilmente ottenendo dall’archivio storico dell’anagrafe di Minervino Murge copia del certificato di nascita della medium (l’ho fatto io, in una tornata di “interrogazioni” analoghe su alcuni personaggi italiani di quel passato: tutti documenti che ho poi lasciato all’Archivio Bozzano-De Boni, che qualche anno più tardi si sarebbe trasformato in Biblioteca).
Piuttosto strano è ritrovare in alcune riviste dei primi anni del Novecento, a fronte dell’uso generalizzato del nome Eusapia, l’antica versione Sapia. A proposito della quale ci si può interrogare da dove sia venuta fuori. Era una reminiscenza della Sapia dantesca – che però andrebbe pronunciata Sapìa? O era una trascrizione per assonanza fatta da Damiani, che dopo aver vissuto per molti anni in Inghilterra nel 1872 era più a suo agio con l’inglese che con l’italiano? tanto più che anche il nome Eusapia era pressoché ignoto e inutilizzato in Italia, a quell’epoca? O era forse un tentativo di mantenere una certa riservatezza verso quella giovane medium, vero e proprio ossequio a una privacy ante litteram [almeno in questo caso da pronunciare prìvasi, nella corretta forma inglese] per cui la si segnalava con sufficiente precisione, ma nascondendola sotto un nome irreperibile? Non conosco la risposta. Né so se è a conoscenza di qualcun altro.