EuspalladinoNon era soltanto una “cavia” per aspiranti ricercatori dell’aldilà, Eusapia Palladino, ma anche una consolatrice di afflitti, un’amica di bambini napoletani indigenti, un’ispiratrice di artisti e, in definitiva, un fenomeno di costume. Contro il quale si scagliò, senza particolare astio ma con netta avversione, un protagonista della satura politica quale fu Renato Simoni, che infilò anche la medium Eusapia, oltre a molti simboli dello status quo politico intellettuale dell’epoca, in Turlupineide, una “rivista comico satirica dei tempi moderni”, che fu rappresentata per la prima volta al teatro Dal Verme di Milano nel 1908.

Lo spettacolo ebbe un immediato e travolgente successo, tanto da diventare un esempio per altre opere teatrali dello stesso genere, grazie a un linguaggio teatrale vivace, allegro e incalzante, sostenuto da costumi sgargianti ed energici movimenti coreutici, vere anticipazioni della “rivista musicale” che si affermerà in seguito, tra le due guerre mondiali. Con Turlupineide  Simoni passava sotto la lente della satira la politica, l’arte, la cronaca, le mode del tempo e le polemiche femministe del primo Novecento, «canzonando con ironia spumeggiante gli uomini di Stato, ma anche rappresentanti insigni della musica e delle lettere italiane come Mascagni e D’Annunzio, quest’ultimo rappresentato nelle vesti di un ammiraglio dall’abito argenteo; animando i monumenti civici milanesi… immaginando una discussione tra Leonardo, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso… inventando gustosi carri tirati da ballerine trasformate in cavalle» (Adele Gjata).

FiguraDella prima rappresentazione dell’opera scrisse il critico Domenico Oliva: «qui c’è allegria da quando la tela si schiude a quando ci toglie la visione lussuosa e luccicante dell’ultimo quadro: si ride continuamente, si ride sino alle lagrime… Ho parlato d’allegria: avrei dovuto dire follia; qui veramente si scatena e tripudia la folle du logis coll’evoluzioni più buffe e più imprevedute, colle smorfie più illogiche e più graziose, qui prorompe la tempesta, ebbra, giovane, temeraria, ribelle, vittoriosa». (Altre importanti notizie su questo dimenticato capolavoro del teatro leggero musicale si trovano su L’operetta italiana, di Waldimaro Fiorentino.)

Privo di musiche proprie, lo spettacolo si reggeva su un’accorta scelta di motivi specificata nel copione da Simoni. Per la scena riguardante Eusapia Palladino, la sua indicazione era di utilizzare l’aria Tonchinoise, del compositore francese di origini italiane Vincent Scotto, che in effetti dava ai versi un brio e una vivacità in grado di esaltarne la verve comico. Non ho trovato nessuna versione solo musicale di quella ballata da poter suggerire qui, ma chi volesse farsi un’idea dell’antica rappresentazione di Simoni può provare a canticchiare le parole che ho trascritto qui sotto, “sincronizzandosi” con la versione francese di Joséphine Baker (che canta però altre parole) dopo i primi 48 secondi, che sono soltanto strumentali. Il brio e la comicità, aiutate da un lieve equilibrismo sui doppi sensi, sono irresistibili.

Canzone di Eusapia

Ci si mette / al tavolino

e si forma / la catena

la corrente si scatena

e si sente un traballar.

Traballare, / ciò vuol dire

che lo spirito si desta

fuor del buco, che ho qui in testa,

ecco un soffio evaporar.

Zitti zitti, piano piano

su quel buco, su quel buco ognun la mano

per studiare il caso arcano

con rispetto dée posar.

          CORO

Si capisce senza fallo

che lo spirito, lo spirito fatato

nell’Eusapia è penetrato

e comincia a funzionar.

       EUSAPIA

Ecco John che è qui presente!

me lo sento, me lo sento, me lo sento

qual delizia e qual tormento

è sentirsi spiritar!

Caro John, deh! per favore

fà di carne, fà di carne questi marmi,

tal prodigio non negarmi

fai veder quel che sai far.

          CORO

Che formiche nelle gambe!

come vanno, come vanno sempre in alto!

già cammino, corro e salto

di San Vito sento il bal!

Balzo giù dal piedestallo

son di carne, son di carne che piacere

ora vo’ mangiar e bere

passeggiare e far l’amor.