Attilio SarfattiAttilio Sarfatti, originario di Venezia (1863-1900), è stato un letterato e poeta piuttosto conosciuto e apprezzato ai suoi tempi soprattutto per l’impegno dimostrato nello scrivere in dialetto veneziano non soltanto i suoi versi ma anche alcuni testi in prosa, quali ad esempio tre opere teatrali (una sola delle quali pubblicata postuma su una prestigiosa rivista a grande diffusione). Avendo esordito a 18 anni con un volume satirico nel quale attaccava Cuore di De Amicis firmandosi De Inimicis, collaborò per diversi anni ad alcuni quotidiani e riviste della sua regione, cui destinò anche molti componimenti poetici, raccolti poi in volume nel 1892.

Verso la fine del 1888 Sarfatti – all’epoca dinamico venticinquenne intento a visitare varie città d’Italia assieme ad alcuni amici – durante un soggiorno a Roma in casa dei marchesi Paolucci conobbe Ercole Chiaia e fu su due piedi invitato ad alcune sedute della medium Eusapia Palladino, ancora lontana dall’acquisire la celebrità che l’avrebbe accompagnata per quasi tutto il resto della vita, ma già “esperta” nell’esibirsi di fronte a nobili, intellettuali e letterati. Entro pochi giorni il poeta presenziò dunque a tre sedute medianiche, che lo impressionarono molto, spingendolo non solo a considerare con occhio favorevole lo spiritismo, ma anche ad approfondire un po’ meglio quella tematica (di cui si scorge un’eco in alcune poesie della raccolta del 1892). Terminate le esperienze in casa dei Paolucci, il 5 dicembre Sarfatti prese carta e penna e redasse ben due articoli, che destinò uno al quotidiano veneto L’Indipendente e uno al settimanale Fanfulla della Domenica, la rivista culturale più aperta alle tematiche spiritiche di tutta Italia.

EusapiaRiporto qui sotto nella loro integrità i due testi di Sarfatti (finora sfuggiti, mi sembra, a tutti gli “studiosi” di Eusapia Palladino) avvertendo che una descrizione sommaria dei fenomeni testimoniati si trova soltanto nella seconda sezione dell’articolo del Fanfulla della Domenica. Tutto il resto è un resoconto molto soggettivo della partecipazione ad esperienze medianiche di una persona estranea alla scienza. Un materiale non privo di informazioni interessanti, ma utile soprattutto per capire come viveva quelle situazioni chi non intendeva dimostrare alcunché, né a favore né contro la “genuinità” di un medium.

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Da: L’Indipendente 8 dicembre 1888

Una seduta spiritica

(Roma, 6 dicembre.) Allan Kardec, il maestro glorioso, mi inspiri e regga la mia penna mentr’io riporto ai leggitori dell’Indipendente le cose fattemi vedere e udire in casa dei marchesi Paolucci dal signor Ercole Chiaia, compito cavaliere napolitano, e dalla signora Eusapia, medium potentissima. Yoghi e fakiri poco più mi meraviglieranno quando, se Dio non si opponga al proposito, salperò con Luigi Capuana per la madre India popolosa di spiriti. Allan Kardec mi regga la penna e mi rischiari la mente, sì ch’io possa ridire le cose viste e udite con piena e perfetta memoria. E tu, John King, spirito buono ed arguto, evocato l’altra sera al cospetto nostro dalla preghiera del signor cavaliere Ercole Chiaia, tu, che pure mi tirasti i capelli, e mi battesti forte sul viso e mi togliesti la sedia di sotto, e mi rallegrasti di mille altre simili cortesie, ma che in fondo in fondo mi desti prova di amarmi, perdona se le mie parole non sono adeguate alla gloria del tuo nome e della tua potenza, e fa’ che stanotte uno spirito tuo ammiratore m’induca a dire novellamente di te con fantasia più alta e degna. Per tua volontà, o invisibile John, noi vedemmo sollevarsi un tavolino e ricadere con fracasso, girare vorticosamente e fermarsi sopra un solo piede, con grande iattura della statica; per tua volontà lo udimmo ripetere ritmicamente il suono prodotto dalle nostre dita. Poi tu, amico John, ordinasti per bocca d’un piede del tavolino: Sia fatta l’oscurità, e l’oscurità fu. Tu allora ti rivelasti pronto, ardito, veloce, gagliardo e, se lo permetti, un tantino inurbano, ma poiché per meglio convincere giova parlare ai sensi, io non mi dolgo e non ti fo caso della tua impertinenza. Là, in mezzo alle tenebre, chi stava seduto attorno al tavolino sentì manifestarsi per mille modi la tua potenza, della quale tu, buono e cortese, non volesti per verità abusare se non col tavolino che ricevette dal tuo pugno formidabile colpi simili a cannonate con grande nostra stupefazione. Io non so se gli spiriti ricordino quello che vanno facendo al buio di notte tempo nelle stanze altrui, ma in caso che no, sappi, o John, che l’altra sera tu con la tua mano ora ruvida e grande, ora piccina e vellutata (e questo, in verità, io non capisco: come le tue mani possano variare dimensione) hai commesse molte pazzie. Per esempio: una pesante guantiera lontana due metri venne, come colomba a placido volo, a posarsi sulle mie mani, per andarsene poi sulla testa di un altro; un tamburello e una trombetta, strappati a forza dalle nostre mani, suonarono in alto per virtù d’invisibile bocca e di mani invisibili; un pettinino della gentile marchesa (o John misterioso e terribile, non rispetti nemmeno le padrone di casa!) le venne tolto dai capelli morbidi folti, e portato fra le dita d’un amico, dalle quali ripartì arcanamente per tornare sulla testa della signora marchesa. A mano a mano che si producevano i fenomeni, la signora Eusapia cadeva in catalessi. Allora per bocca stessa della signora tu parlasti; e noi ti ascoltammo in silenzio, o immarcescibile John. E quando, da te licenziati, salutammo per tuo invito il Creatore, onde tu hai vita eterna non più corruttibile, le tue invisibili mani dall’alto applaudirono.

Questo, quanto vidi e udii l’altra sera in casa dei marchesi Paolucci. Fu allucinazione, la mia? No, certo. Calmo, calmissimo sono entrato; calmo, calmissimo sono uscito Fui mistificato dall’abilità della signora Eusapia o del signor Chiaia, o di qualche altro? No, mille volte no. Dunque? Credo io negli spiriti? Credo io d’aver parlato veramente col signor John? Io non ne so nulla, e non mi stimo in grado di risolvere nulla. Chi non ci crede si procuri il mezzo di assistere a una seduta, ma non neghi a priori, e non rida di quello che non capisce e non può spiegare. Lo spirito arguto di John, domandato infine se qualcuno dei presenti si sarà convinto della sua esistenza, rispose di no. Per lo meno, è uno spirito di spirito!

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Da: Fanfulla della domenica 16 dicembre 1888

Convegni spiritici

Così la mente mia tutta sospesa

Mirava fissa immobile ed attenta…

I. Le fiabe che occuparono la mia puerizia; le fiabe che, per acquetarmi nel sonno, soleva raccontare presso al mio capezzale la fantesca mal cauta, e ch’io seguivo curiosamente e ricordavo, appena chiusi gli occhi, nei sogni della mente confusa e spaurita, le fiabe di fantasmi, di spettri, di spiriti errabondi buoni coi buoni, malevoli e castigatori coi tristi, mi tornarono al pensiero insieme con la dolce fanciullezza assistendo a tre adunanze spiritiche. Perché, e le paurose novelle della femmina vecchia trovavano rispondenza nei fenomeni che si andavano a mano a mano producendo, e io davanti ai fatti meravigliosi mi sentivo ritornare bambino. E come allora il buio e l’ignoto affaticavano il tenero cervello mal desto, onde la mia cameretta si popolava di figure e risuonava di voci, così ora ripensando le strane visioni spiritiche. Se leggendo questo mio articolo qualcuno terrà [considererà] me per femminetta raccoglitrice e narratrice di favole, io non mi dorrò dell’ufficio, convinto che, se io femminetta, egli si sentirà al racconto pargoletto da culla.

TableII. La stanza è illuminata; siamo seduti a un tavolo in sei, fra questi la signora Sapio medium potentissima. Ecco: già il tavolo si muove sotto le nostre mani formanti catena, s’alza, s’abbassa, ondeggia nell’aria, ricade rumorosamente, poggia su due piedi, su uno; leggére le mani! il tavolo si risolleva, gira, rigira, è una fatica seguirlo, dove va? in alto, più in alto, a un metro di altezza, oscilla con dolce moto, ricade. E la legge di gravità? non c’è più nessuna legge; siamo nel mondo degli spiriti.

«Poiché tu, o John King, sei liberale di tua presenza e di tue grazie a questi signori (dice il cavaliere Ercole Chiaia con nota voce allo spirito), io ti pregherei di far loro vedere dei belli fenomeni perché ti abbiano in buon concetto e partano contenti di te. Vorrai tu esaudire la mia preghiera?» S’odono tre colpi di sotto il tavolo; John ha risposto di sì. Che è? John seguita a battere: uno, due, tre, quattro, cinque… vuole l’oscurità. Si spengano i lumi: ecco il buio, l’ignoto, il regno di John. La medium si contorce, sospira, i due che le siedono a lato non abbandonano mai le sue mani, ella singhiozza convulsivamente… non abbiate paura per lei: è questo il suo stato normale al cospetto dello spirito. Tutti sono in attesa: pum! che succede? è la mano di John che batte sul tavolo.

«O John, io ti pregherei di portarmi quel tamburello che sta sulla credenza…» Drin, drin, drin! il tamburello mi capita fra le mani.

«E adesso riprendilo e suonalo in alto». Una mano invisibile me lo strappa, ed ecco presso al soffitto il romorìo dei sonagli. Ahi, ahi! chi mi tocca? sempre l’invisibile mano mi batte sulla spalla, mi accarezza la guancia, mi tira i capelli, e io sento l’impressione di umane dita…

«Io ho il tamburello sulla testa» grida uno; «e adesso l’ho io» grida un altro; che è questo suono? ah! la trombetta che avevamo nascosta lontano! John le soffia per entro con l’invisibile bocca.

«Spirito cortese, io ti prego di pigliare il bastone che si trova in questa stanza e batter con quello sul tavolo una marcia di guerra.» Un minuto di silenzio, e la marcia viene eseguita.

«E io, dice allo spirito un amico, io ti sarò grato se tu vorrai togliermi lo stivale.» Che non può John? ecco lo stivale lanciato in aria. Oh! oh! che è questo? mi sento levar di sotto la sedia; è John, sono le sue invisibili mani gagliarde, che si trastullano con la mia sedia pesante e la gettano lontano. O buono spirito arguto! ma io vorrei più degna manifestazione di tua presenza; io ti saprei grato di fenomeno più saliente. Ecco: l’aria s’illumina d’azzurre fiammelle, vagano, si aggruppano, dispaiono. Viva John! noi ti ringraziamo dal profondo del cuore.

«Gridate: Viva Iddio!» ammonisce il cavaliere Ercole Chiaia, e noi: «Viva Iddio!»

Le mani dello spirito applaudiscono al saluto dall’alto. Una seggiolina di paglia, tranquilla in un angolo, si muove e capita ritta sul tavolo; una guantiera pesantissima vola, come placido augello, a posarsi sulle mie mani; un piatto, un bicchiere, un vassoio, cento oggetti disposti qua e là per la stanza si trovano, come per virtù di semovenza, uniti davanti a noi. Che più? Un biglietto da visita bianco, posto lontano sopra un altro tavolo, viene a riposare fra i miei capelli, e io sento una mano passar sul biglietto… Luce, luce! accendete la lampada! il biglietto è pieno di segni indecifrabili, e le mani della medium si trovano sempre in quelle dei due che le stanno a lato.

III. Queste e altre cose vidi io nei tre convegni spiritici.

«Allucinazione, mistificazione, corbellatura!» dirà un lettore maligno e materialista. «O che vi salta di scrivere sì evidenti piacevolezze?» «E non sapete, continuerà il dotto contraddittore, non sapete le soperchierie e gl’inganni dei convulsionari di S. Medardo e delle religiose di Loudun? O che forse S. Giuseppe da Copertino non sospendeva corpi gravi nell’aria? E la sematologia e la tiptologia e la pneumatografia e la psicografia non possono chiamarsi esse una minchionatura palese? Non sapete che lo Schiff e il de Lamballe spiegarono i colpi sul tavolo con le contrazioni volontarie o involontarie del tendine del muscolo corto peroneo?» «E vi par serio e decoroso gabellare per fenomeno quello che non pure ripugna alla ragione, ma a tutta la storia gloriosa dell’ideale ascensione della civiltà?»

Le religioni quali nacquero dalla superstizione e dalle paure dell’incomprensibile, l’ebraica, la pagana, la cristiana, trovavano almeno in sé elementi di vita nella poesia che le informava, nelle finalità loro, nella affermazione ultima d’un dio regolatore, e nella dimostrazione teorica e dogmatica della sopravvivenza dell’anima. Lo spiritismo pretende, invece, di mostrare con materiale evidenza l’individualità di questa anima, la sua liberazione dall’involucro carnale, la sua nuova forma fluidica negli spazi, e la sua eterna intelligenza.

«Baie da bimbi, e null’altro!» Così dirà un lettore maligno e materialista, ma quand’egli cominciasse poi a dimostrarmi ragionevolmente la non esistenza di un Dio, e la mortalità dello spirito, io mi alzerei nelle spalle e girerei largo.

Certo, lo spiritismo così com’è, non convince e non può convincere più che lo spiritualismo, dal quale ha vita; ma parlare con tanta leggerezza di mistificazioni, di allucinazioni, di corbellature, ma ridere di fatti che trovano cultori da tanto tempo in tutto il mondo, ma non dubitare nemmeno per un momento davanti a una scuola di credenti che vantano una filosofia e una letteratura oramai florida, questo passa il segno.

Mille e mille problemi insoluti si affacciano al pensiero ad ogni istante, e perché disprezzarne uno così vasto e complesso? Perché gli scienziati, piuttosto che irridere, non se ne occupano e preoccupano? E gli dèi Mani non hanno forse rispondenza in questi spiriti familiari veglianti sulle proprie case? E le «ombre vane fuor che nell’aspetto» di Dante non si possono comparare a queste anime cui il perispirito conserva immagine e forma di quello che furono in terra?

Sia quel che si sia, studiate, o uomini di scienza, o fisici, o medici, o fisiologi, la dottrina e i fenomeni, e non parlate di mistificazione senza assistere ai convegni spiritici.

IV. Dopo tutte coteste chiacchiere il lettore maligno e materialista mi chiederà: «Ma insomma, voi credete agli spiriti?»

Io? Io sono come il cieco che sente il sole e non lo vede. Lo spirito di John, domandato infine se qualcuno si sarà convinto della sua esistenza, rispose di no.