Da sempre molti umani, come probabilmente tutti gli esseri animali, nascono presentando sulla superficie del corpo nei, voglie, cicatrici, segni, areole chiare, ciuffi di peli, piccole deformazioni circoscritte, vortici strani (cioè peli o capelli che nascono con inclinazioni diverse da quelli circostanti). E da sempre, di fronte alle deviazioni da una supposta perfezione naturale, qualcuno si è sforzato di dare un significato, che fosse anche una spiegazione, a simili anomalie.

Nei tempi più antichi, in varie parti del mondo alcuni di questi segni congeniti sono stati considerati indice di una natura speciale: figure stellate sul petto o sulla fronte, sagome che ricordavano spade o pugnali, ciocche di capelli bianchi (quando non proprio l’albinismo) erano viste come un segnale del futuro destino della persona, cresciuta allora per diventare un capo, un combattente, un sacerdote, una guida spirituale o altro del genere. Nel Medio Evo cicatrici a forma di croce hanno significato per molti un’ineluttabile carriera ecclesiastica, mentre difetti nella conformazione o nella funzione degli occhi, oppure una gobba, hanno gettato su chi li aveva la condanna all’esclusione sociale. In totale controtendenza, in Russia per circa trecento anni, tra gli inizi del 1600 e la fine del XIX secolo, certi “marchi” sulla pelle sono stati ritenuti la prova di un’appartenenza alla stirpe reale e molti pretendenti al trono di Mosca hanno cercato di far valere i loro pretesi diritti perfino falsificandoli e procurandoseli artificiosamente.

Pochi secoli fa, in piena caccia alle streghe, ogni segno anomalo sulla pelle era considerato un’impronta del diavolo e regalava in genere alle sventurate e ai malcapitati una condanna al rogo. Soltanto nella positivistica età del secondo Ottocento queste valenze negative si sono attenuate, per assumere il valore di tracce di uno spavento o di un altro “colpo” grave vissuto dalla madre nel periodo in cui era incinta. A volte la forma o la posizione della macchia sulla pelle del neonato sono state considerate in rapporto con il tipo di evento traumatico subito dalla donna, ma assai più spesso le voglie sono state ritenute l’effetto di una “tensione psichica” ingovernabile, che poteva “scaricarsi” in un punto qualunque della pelle del nascituro. Ovviamente, più grande e in posizione più visibile era il segno sul corpo del neonato, più intenso doveva essere stato il trauma vissuto dalla gestante.

Le scoperte nel campo della biologia e della genetica che si sono succedute nel corso del Novecento hanno fatto notevolmente impallidire e perdere terreno a queste credenze. La “potenza” del Dna, gli equilibri biochimici intracellulari, le dinamiche della fisiologia di organi e strutture corporee sono ormai in grado di spiegare le cause di ogni apparente “anomalia” congenita, anche se il noto ma inevitabile fattore di casualità che influenza e governa tutti gli eventi biologici impedisce di coglierne fino in fondo, in maniera puntuale, il come e il perché.

Sorprende perciò, in un contesto dominato da un inquadramento scientifico ormai ordinario e ragionevole prima ancora che razionale, scoprire una risorgenza delle antiche credenze sull’origine non biologica delle impronte cutanee congenite, in una forma funzionale, anzi addirittura fondamentale, per comprovare l’idea della reincarnazione. Come ha detto lo psichiatra Ian Stevenson vari anni fa, e come hanno ripetuto più recentemente alcuni suoi collaboratori e continuatori, i segni anomali sulla pelle già presenti alla nascita sarebbero provocati dai traumi subiti in un’esistenza precedente dall’anima che si è reincarnata in quel (nuovo) essere umano. Come se, “portandosi appresso” l’immagine di qualcosa di drammatico (per esempio un’impiccagione o una morte causata dalla caduta di un aereo), quell’anima fosse in grado di zittire tutti i meccanismi biochimici, genetici e cellulari dell’organismo che sta per nascere per imprimere fotograficamente le proprie immagini interiori (una forca, una macchia informe) sulla superficie di quel corpo [questi esempi non li ho inventati io, ma li ho ripresi dalla letteratura “seria” sulla faccenda].

Non varrebbe forse la pena soffermarsi su queste posizioni se non fossero sostenute convintamente da persone che ancora le credono degne di rispetto, cui bisogna ribadire che idee del genere sono del tutto insostenibili: come qualunque liceale che abbia studiato biologia potrebbe facilmente dimostrare.

So bene che il mio discorso potrebbe urtare la suscettibilità di chi tiene a convincersi della realtà della reincarnazione; tuttavia non credo che questa sarebbe una reazione corretta. Vorrei sommessamente sollecitare costoro a sentirsi maggiormente sicuri di sé e della propria fede, senza cercare impossibili convalide forzando e violentando (o, peggio ancora, accantonando) il più solido e comprovato sistema di dati e di informazioni che l’umanità abbia mai messo assieme nel corso della sua non proprio lunghissima storia.

 

Un pensiero riguardo “Le voglie, le idee, la reincarnazione

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