Prima immagineIl numero di aprile della rivista Scientific American contiene un editoriale, ovvero l’“opinione”, di una tal Naomi Oreskes, docente di storia della scienza alla Harvard University, sul tema: “In materia di dibattiti scientifici, seguite la regola di Houdini”. Oreskes sembra essere una professionista e questo lascia ben sperare su quanto andremo a leggere nel suo commento, presupponendo che l’autrice sappia bene o almeno passabilmente che cosa va dicendo quando sostiene che per risolvere i dibattiti scientifici, cioè i contrasti e le polemiche su questioni di scienza, conviene adottare una certa “regola di Houdini”. Regola della quale – lo ammetto – non avevo mai sentito parlare.

Fin dalle prime parole del testo si scopre che l’argomento trattato è però tutt’altro. «Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, i principali scienziati di tutto il mondo hanno creduto che l’attività paranormale potesse essere rilevata e dimostrata con metodi scientifici», cui viene aggiunto che la storia dei loro tentativi (cioè le ricerche effettuate da quei principali scienziati) «rivela limiti e specificità delle competenze scientifiche». In altri termini, qui si insinua che esaminando le ricerche di quei “principali” scienziati si potrebbero evidenziare i limiti delle competenze scientifiche. Nulla a che fare con i dibattiti scientifici annunciati nel titolo, ma ugualmente un argomento interessante.

Nel 1882, ricorda l’autrice, allo scopo di «indagare su possibili attività paranormali», venne fondata la Società per le Ricerche Psichiche (SPR). Probabilmente tutti, fuorché Oreskes, sanno che il concetto di “attività paranormale” nel 1882 non esisteva ancora e che la SPR fu creata per studiare empiricamente tematiche controverse sulle quali si dibatteva soltanto in base a presupposti e pregiudizi. Probabilmente tutti, fuorché Oreskes, capiscono perciò che impostare così la faccenda è del tutto fuori luogo. Ma andiamo avanti.

Sidgwick

Tra i «membri di spicco» della SPR la storica della scienza cita Henry Sidgwick (tuttavia filosofo morale e non economista come dice lei), il fisico Oliver Lodge e lo scrittore Arthur Conan Doyle. Fin troppo ovvio osservare che né Sidgwick né Conan Doyle furono mai ricercatori (che è il termine italiano corrispondente all’inglese scientist) o autori di ricerche scientifiche, e che qualificarli come “scienziati principali” di XIX o XX secolo è certamente falso. Né si può passare sotto silenzio la discutibile decisione di Oreskes di inserire Lodge (morto nel 1940) tra gli scienziati eccellenti: la comunità scientifica lo ha sempre ritenuto inferiore a una sterminata quantità di altri colleghi, tanto che malgrado le sue valide ricerche, nessuno ha mai fatto il suo nome proponendolo per il premio Nobel. Comunque, senza minimamente accennare ai lavori effettuati da quei tre, l’autrice aggiunge che essi «cercarono di studiare la questione [le attività paranormali] senza pregiudizi o presupposti di alcun genere»: probabilmente non se ne è accorta, ma questa annotazione va a tutto merito, non a demerito, dei signori della SPR.

Unici «altri ben noti scienziati che parteciparono alle sedute medianiche» (chissà perché, tirate all’improvviso fuori dal cilindro) citati da Oreskes sono William James e Alfred Russel Wallace. Purtroppo la citazione che li riguarda finisce qui, e non si capisce come vada interpretato l’averli aggiunti alla lista precedente.

Il paragrafo successivo si sposta di colpo su un tema completamente diverso dal precedente, quello dei media più importanti che «hanno riferito spesso in maniera acritica di quei tentativi» di indagine sul “paranormale”. Attenzione: sembrerebbe che qui l’autrice stia ancora parlando degli studi compiuti da Sidgwick e compagni, che furono comunque personalità abbastanza conosciute. Invece in questo momento Oreskes sta già occupandosi di altri personaggi totalmente oscuri, che hanno avuto “un quarto d’ora di celebrità” solo quando i quotidiani hanno parlato del loro intento di… pesare l’anima: un tema che con le “attività paranormali” (e con la storia della ricerca psichica) c’entra ancor meno dei famosi cavoli a merenda.

Primo esempio di mala informazione sarebbe stato il New York Times, che ha affermato che l’ignoto dottor Duncan MacDougall aveva verificato il peso dell’anima umana mettendo su una bilancia alcuni moribondi. Per dare consistenza a quella che deve esserle sembrata una notizia eclatante, Oreskes richiama una scarna e poco esatta informazione anonima scovata su Wikipedia: una scelta assai poco professionale per una sedicente storica, che invece di andare a consultare i materiali originali e le cronache dell’epoca si affida a una superficiale e incontrollata enciclopedia popolare.

MacDougall

E non siamo neppure alla fine del percorso, perché subito dopo l’autrice ricorda il caso – per lei, ma solo per lei, simile al precedente – di un articolo del Times relativo a Charles Henry, un matematico francese del primo Novecento, da lei qualificato come docente alla Sorbona sebbene in realtà fosse soltanto bibliotecario in quella università. Per una sedicente storica della scienza, citare un “appartenente” al mondo universitario francese senza sapere nemmeno chi sia stato è uno scivolone ancor più grave dei precedenti.

Ma un commento espresso poco dopo in riferimento agli ultimi due personaggi citati solleva altri dubbi sulla competenza della nostra “storica”. «MacDougall e Henry potevano anche credere di aver dimostrato l’esistenza [???] dell’anima, ma la maggior parte dei loro contemporanei non era della stessa opinione. Un problema evidente era che questi esperimenti presupponevano l’esistenza di ciò che cercavano di dimostrare, [il che era] in sostanza un’argomentazione circolare.» Se Oreskes conoscesse almeno un po’ la ricerca scientifica, saprebbe che spesso si fanno esperimenti proprio per comprovare o confutare qualcosa di cui non si è sicuri, tanto che si è costretti a formulare ipotesi, e che per evitare i circoli viziosi è sufficiente (e cruciale) applicare procedure che diano risultati inequivocabili, cioè che possono essere prodotti soltanto dalle variabili prese in considerazione. L’errore compiuto da MacDougall (non da Henry, che non fece mai alcun esperimento) fu di avere adottato una metodica inadatta che non poteva dare altro che risultati equivoci.

Riguardo le successive affermazioni di Oreskes, confesso di non essere riuscito a capirle: «La storia della ricerca psichica [di cui però non è stato dato finora neppure un esempio] mostra anche perché dovremmo prendere con prudenza le affermazioni scientifiche innovative, soprattutto quelle che esaudirebbero qualcuno dei nostri desideri più intimi, come comunicare con i nostri cari perduti [defunti] o godere della vita eterna. Ciò che oggi sembra plausibile – anche ad Harvard e alla Sorbona – in futuro potrebbe apparire assurdo.» Non riuscendo a dare un senso a queste osservazioni, mi astengo dal commentarle.

«Forse la lezione più importante» continua l’autrice senza specificare da dove si dovrebbe trarre quella lezione «concerne la specificità della competenza scientifica». Quale competenza è infatti necessaria, si chiede, per «valutare le affermazioni sul soprannaturale o paranormale?» E qui, forse per formulare una risposta (che però non formula), propone una sua sintesi della famosa indagine sulla medium Margery occasionata dal premio bandito nel 1922 dallo Scientific American. Un variegato gruppo di indagatori, comprendente alcuni scienziati, alcuni ricercatori psichici (parapsicologi) e Houdini, partecipò alle sedute con Margery, ma al momento di decidere se assegnare o meno a quella medium la cifra messa in palio dalla rivista prevalse la decisione di non farne niente, tenuto conto che il prestigiatore aveva rivelato al Comitato quali manipolazioni erano state messe in opera in quelle occasioni. «È stato un prestigiatore, non un fisico o un matematico» sottolinea Oreskes «ad avere avuto le competenze per riconoscere i trucchi della supposta medium

Houdini Margery
La commissione, comprendente Houdini (a destra) che esaminò la medium Margery

A corollario di quanto precede, ma in realtà senza alcun nesso con la storia di Margery, la docente dell’Harvard University si esibisce in un fenomenale salto acrobatico verso un altro argomento. «Oggigiorno chiunque formula affermazioni scientifiche, spesso con poca o con nessuna competenza nell’argomento discusso. Alcuni sono scienziati che escono dal seminato. Il fisico e inventore americano William Shockley, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1956 per aver creato il transistor, ha usato la sua fama per promuovere razzismo ed eugenetica. Il fisico John F. Clauser, premio Nobel 2022 per i suoi contributi alla scienza dell’informazione quantistica, ammette di essere un “negazionista” del cambiamento climatico e di essere andato a parlare ovunque contro la posizione unanime della scienza secondo cui il pianeta sta subendo un pericoloso riscaldamento. Diversi personaggi celebri hanno falsamente affermato che i vaccini causano l’autismo e il politico Robert F. Kennedy Jr. sta propagando la disinformazione sui vaccini all’interno di una campagna elettorale presidenziale.» Anche qui, mi riesce difficile capire quale sia l’intendimento dell’autrice nell’elencare alla rinfusa poche e assurde opinioni di una manciata di scienziati, di politici e di indefinite altre “celebrità”. Che cosa ha a che fare questo guazzabuglio di stranezze con i dibattiti interni alla scienza o con quelli relativi al rapporto tra scienza e ricerca psichica?

A guardare l’ultima frase di questo scoordinato intervento, sembrerebbe che a Oreskes interessi soprattutto darci un buon consiglio: «la prossima volta che vi chiederete di chi fidarvi, a proposito di una questione scientifica, domandatevi questo: Chi ha le competenze necessarie per valutare la situazione? O, in parole povere: Chi è Houdini in questo caso?» Finalmente (forse!) un indizio sulla “famosa” regola di Houdini. Peccato che non ci venga detto altro e che la definizione di quella presunta regola venga lasciata alla nostra libera immaginazione. E così finisce, malinconicamente, questo non-storico commento di una sedicente storica della scienza.

Prima di chiudere, desidero ringraziare Enzo Barone per avermi tempestivamente segnalato la pubblicazione su Scientific American di questo pezzo di Naomi Oreskes.

5 pensieri riguardo “Contro l’ignoranza

  1. “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”, e lo stesso vale per questo tipo di articoli. Al di là delle idee confuse dell’autrice, già sottolineate da Massimo, credo che la ‘famosa’ ma non citata legge di Houdini possa essere espressa così: “Se uno scienziato preparato indaga su un episodio inspiegabile e pensa davvero che lo possa essere, meglio un prestigiatore”.

    Personalmente, l’unico elemento che ritengo molto utile è la possibilità che ad approfondire certi episodi debba, per quanto possibile, essere un gruppo interdisciplinare.

    "Mi piace"

  2. Ho goduto molto la lettura dei commenti di Massimo Biondi, colto e puntuale come sempre. Grazie quindi a lui e a Barone che ha segnalato il testo e poi fornito un appropriato commento. Saluti a tutti Paola Giovetti

    Piace a 1 persona

  3. Se mi fosse concesso, suggerirei un’idea al Dott. Biondi (pur nella piena consapevolezza che non ne abbia affatto bisogno):
    Tradurre in inglese il post e inviarlo direttamente a questa (poco) gentile Sig.ra Oreskes. Magari potrebbe servirle a convincersi che qui… nessuno ha l’anello al naso.
    Mi associo ai saluti della cara Dott.ssa Giovetti

    "Mi piace"

Lascia un commento