inizialeÈ ben noto che per vario tempo Emilio Servadio si interessò di sostanze psicotrope naturali e di droghe sintetiche, anche nella speranza di poterle usare nelle sue attività di psicoterapeuta e di parapsicologo. Assai meno noto è che per tutta la vita il medesimo studioso, di solito serio e formale, affrontò con lepidezza il buon mangiare, il gusto dell’alimentazione, il piacere conviviale di un buon pranzo o di una tranquilla cena con amici – come possono ancora testimoniare coloro che con lui hanno avuto modo di condividere almeno un pasto. Nessuno sembra più ricordare, invece, quella volta che Servadio si divertì a riversare su carta entrambe quelle passioni, fondendole e arabescandole “in punta di penna”, inventando per degli immaginari lettori degli apparenti consigli alimentari, organizzati in un menu da lui stesso definito «puramente teorico, s’intende!», vegetariano ma «roba da pazzi».

apcenIn un momento (che non so precisare meglio) del 1959, Servadio aveva conosciuto l’architetto, poeta e letterato Mario Fagiolo, che aveva il vezzo di farsi chiamare Mario dell’Arco, il quale aveva ideato e curava una curiosa antologia di contributi vari – poesie, novellette, note storiche, ricette, saggi linguistici, memorie personali… – tutta imperniata sull’unico e solo tema dell’alimentazione. Intitolata Apollo bongustaio, la pubblicazione usciva una volta l’anno, poco prima di dicembre, e veniva diffusa non attraverso una vendita convenzionale ma per l’impegno degli autori che ne distribuivano copie ai loro amici. Ebbene tra quelle pagine, nell’edizione datata 1961 (preparata nel corso del 1960), trovò posto anche un breve testo di Servadio, che proponeva un singolare menu composto da «roba che si mangia o si beve» di cui si era occupato in quanto «esploratore di malnote realtà psicologiche». (Il testo continua dopo l’immagine.)Ap-rid-ES

«Si potrebbe cominciare» scriveva Servadio, «con un piattino di Lopophora Williamsii: sono i piccoli cactus messicani che contengono, insieme con altre sostanze, la famosa mescalina a cui Aldous Huxley e Henri Michaux hanno dedicato libri assai celebri. Dato che tale pietanza farà andar su di giri (e parecchio!) i commensali, darei loro a questo punto un po’ di Rauwolfia serpentina, la pianta indiana da cui si ricava la reserpina, che distende lo spirito e abbassa la pressione. All’atarassia prodotta dalla Rauwolfia si rimedia naturalmente subito: basta masticare alcune coppie di Psylocibe Mexicana Heim: sono i famosi funghi allucinogeni che ancor oggi certi Indios adoperano nel corso di cerimonie religiose. La loro sostanza attiva, la psilocibina, è notevolmente euforizzante, produce visioni colorate assai belle e scioglie la parlantina. I più audaci potrebbero subito dopo assaggiare con grande prudenza un pochino di Amanita Muscaria (è quel fungo a tutti noto, rosso a puntini bianchi, che illustra innumerevoli fiabe di nanetti e di elfi). È un cibo che a piccole dosi trasporta chi lo mangia (specialmente i Tungusi, gli Yakuti, i Ciuckci e gli abitanti del Kamciatka) in un mondo di irrealtà e di delirio. Se uno ne mangia invece un po’ di più, va semplicemente… all’altro mondo. E con questo avrei finito – perché non mi pare di dover appesantire il menu con roba troppo difficilmente accessibile, come la peruviana Banisteria caapi (da cui si ricava l’inebriante ayahuasca) o la Tabernanthe iboga dell’Africa equatoriale (che dà l’eccitante ibogaina): tutte cose che, per vie biochimiche ancora poco note, producono effetti psichici interessantissimi ma sempre alquanto… allarmanti.»

È-vero-che-mangiare-la-pasta-a-cena-fa-ingrassare-1200x580Questo non fu l’unico contributo dato dallo psicoanalista alla pubblicazione. Un altro “ritaglio”, consegnato a Mario dell’Arco nel corso dell’anno precedente, era stato pubblicato nell’edizione 1960 dell’Apollo bongustaio e consisteva in una brevissima nota scherzosa sui muscoli adduttori di mollusco cinese gigante, che l’autore aveva consumato in un ristorante durante una cena assieme a un suo ex-allievo. La pietanza si presentava nell’aspetto di «lunghe fettucce, accompagnate dalle solite cinque o sei verdure, tipiche di tanti manicaretti cinesi», e il suo commensale aveva sospettato potesse trattarsi di «una qualche parte del mollusco che per decenza non si era voluto altrimenti denominare». Servadio invece aveva respinto quell’interpretazione. A lui quel piatto aveva soltanto fatto pensare «agli eventuali sviluppi di tale modo “scientifico” di denominare le pietanze: “lobo temporo-occipitale di encefalo al burro”, “brattèe di tuboliflora in insalata”…  Mica male!»

Concludo ricordando brevemente che in quegli stessi anni, ma in maniera tutt’altro che giocosa e divertita, Servadio iniziava con l’allora biochimico Roberto Cavanna una serie piuttosto lunga di esperimenti con l’LSD e la psilocibina, per verificare le eventuali proprietà di quelle sostanze nel facilitare esperienze di telepatia e di chiaroveggenza. Le ricerche sarebbero state interrotte, dopo pochi anni, di fronte alla constatazione che quel tipo di “materiale” rendeva impossibile applicare metodologie controllate e ottenere risultati affidabili.

2 pensieri riguardo “A cena con Servadio

  1. Vegetariano da trenta anni, ammetto di non aver mai osato oltrepassare le colonne d’Ercole di una prosaica Insalata di rucola e pomodoro. Può essere che con l’incipiente vecchiaia io tenti anche le strade ardite degli allucinogeni. Inizierei dalla Muscaria, ché è di facile reperibilità, anche se rischio di confonderla con la prelibata ed innocua (e per ciò sconsigliatissima) Amanita cesarea. Scherzi a parte, articoli sempre interessantissimi.

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